martedì 8 marzo 2016

Continuano le lezioni di don Marino Neri su Riscossa Cristiana




Come si evince dalle parole di S. Caterina, il secondo motivo che deve ispirare la seconda conversione è il prezzo del Sangue del nostro Salvatore: quel Sangue che ci ha redenti sulla Croce; che ci ha rigenerati del Battesimo; che ci purifica nella Penitenza; che ci santifica nell’Eucarestia. Se pensassimo a qual prezzo tutto ciò è avvenuto – la morte del Figlio di Dio Gesù Cristo –, con quanta maggiore umiltà e devozione assisteremmo alla S. Messa, rinnovazione incruenta del Calvario, sorgente inesauribile di Carità verso Dio e verso il prossimo!...

Le anime rassegnate, dice Salviano, se sono umiliate, questo vogliono: se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma quanto gli avviene, tutto lo vogliono: e perciò sono in questa vita felici: «Humiles sunt, hoc volunt; pauperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt. Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, che piova, perché così vuole Dio. Viene la povertà, la persecuzione, l’infermità, la morte, ed io voglio (colui dice) esser povero, perseguitato, infermo; voglio anche morire, perché così vuole Dio. Questa è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più delle Signorie, e di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che provano i Santi, la quale exuperat omnem sensum. (Phil 4.7) […] I Santi in questa terra nell’uniformarsi alla volontà divina han goduto un Paradiso anticipato»...

Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione – fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio. Così possiamo giustamente parlare delle “conversioni” di Agostino che, di fatto, sono state un’unica grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui...

Una conversione vera e perfetta provoca altre conversioni, le quali, se docili alla voce del medesimo Spirito, potranno giungere alle vette del puro Amore divino, innescando a loro volta altri cambiamenti di vita nei cuori. Il bene, ricorda san Tommaso, è diffusivo, tende ad andare oltre i propri confini per comunicarsi liberamente e generosamente; al cuore dell’uomo spetta di essere umilmente recettivo verso questa “provocazione della Grazia”, lasciandosi attrarre...

Quello che più deve stupirci e interrogarci, dopo l’effusione dello Spirito a Pentecoste, non è tanto il carisma del parlare le lingue (glossolalia) o di operare guarigioni, bensì proprio questo rinnovamento interiore che porta gli Apostoli nella profondità del mistero della Redenzione, operato col caro prezzo del Sangue di Cristo. Questo è il mistero, ce lo ricordiamo bene, che Pietro, per timore dei Giudei, non riuscì a sostenere e che rifiutò con un triplice “no”, salvo poi convertirsi nuovamente. Ora afferma senza timore che solo in Gesù Cristo vi è salvezza, e in nessun altro. Ora Pietro ha consapevolezza piena dell’economia divina della salvezza, e non può che annunciarlo con franchezza, affinché anche altri possano entrare in questo disegno di Amore per l’umanità: Amore che esige, però, per evidenti ragioni di giustizia, la morte al peccato, la sua riparazione e la conseguente vita da liberi figli di Dio, nella Grazia...

Questa ruggine, dunque, si trova nelle parti più basse delle cosiddette “facoltà superiori”, cioè intelletto e volontà. Essa consiste in un attaccamento a sé stessi (un amore disordinato di sé, in fondo), che impedisce all’anima di restare profondamente unita a Dio in maniera stabile. Potremmo sintetizzare gli effetti di questa ruggine dello spirito col termine “distrazione”: l’anima, in questo stato, si trova frenata dal totale donarsi a Dio dal fatto di voler mantenere una sorta di autonomia rispetto a Lui, come se ciò la rendesse più libera o felice. E quindi, ecco sopraggiungere distrazione durante la preghiera o gli atti di culto; sorta di torpore spirituale nel compiere i propri doveri verso Dio e verso il prossimo; ostinazione nel non volersi fidare fino in fondo della Provvidenza divina opponendoLe la propria volontà; attaccamento ad affetti naturali non sottoposti alla volontà di Dio...

Dio dunque purificherà l’anima da ogni cattiva abitudine contratta e lo farà immergendola nell’oscurità cognitiva e sensitiva. É come se il Divino Redentore si sottraesse alla presenza dell’anima ed essa non sapesse più ove se ne sia andato: smarrimento, sconcerto, aridità, dolore contraddistingueranno l’anima in questa fase. Essa sarà portata quindi a comprendere sempre meglio la sua debolezza e, di conseguenza, l’indispensabile presenza dell’Amato, momentaneamente (e terapeuticamente) celatosi. È come quando Gesù risorto si allontanò corporalmente dagli Apostoli, ascendendo al cielo: essi rimasero a guardare la sua dipartita stupiti e sgomenti, ridestati soltanto dalla voce di due “uomini in bianche vesti” che diceva: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1, 11). Anche gli Apostoli erano ancora troppo attaccati alla “compagnia umana” di Gesù per cogliere la modalità nuova con cui Egli avrebbe guidato e santificato la Chiesa nascente: non avevano ancora avuto la “terza conversione” (il giorno di Pentecoste)...


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